Onorevoli Colleghi! - Il mutamento degli ambiti tradizionalmente scenario del parto (la casa, la contrada, il vicinato) e delle modalità di assistenza alla nascita, in poco più di trenta anni, hanno di fatto assimilato tutti i parti, tutte le nascite (anche se la maggioranza di essi sono eventi del tutto fisiologici) a quella percentuale largamente minoritaria che presenta caratteristiche patologiche.
      A decorrere dalla fine degli anni cinquanta, abbiamo assistito alla progressiva confluenza dell'evento nascita verso le strutture ospedaliere.
      La nascita, per secoli, per millenni, presenza quotidiana nella vita sociale, momento impegnativo, ma vissuto convivialmente all'interno della famiglia, sostenuto dalla solidarietà delle altre donne e della comunità, di cui donna e bambino erano i protagonisti, si è progressivamente trasformata in un evento avulso dalla quotidianità, confinato in una «istituzione» la cui gestione è stata progressivamente sempre più delegata ad operatori e tecnici, che si sono resi protagonisti sulla scena del parto, relegando la donna a un ruolo passivo, spesso dimenticando le sensibilità del neonato e i suoi bisogni, escludendo del tutto gli altri membri della famiglia, privando di ogni ruolo la comunità.
      Le motivazioni sanitarie alla base di questa scelta, inizialmente comprensibili per le precarie condizioni di vita, igieniche, sanitarie, abitative, sociali ed economiche, hanno poi finito per prevalere sugli altri aspetti del parto-nascita, quali l'emotività, l'affettività, l'amore, la realizzazione delle scelte personali.

 

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      Per il raggiungimento degli obbiettivi di sicurezza si è dovuto pagare un prezzo: i servizi di maternità sono stati centralizzati negli ospedali, i tassi degli interventi sono sempre più aumentati (fino a portare l'Italia ad essere il Paese con il più elevato e inaccettabile tasso di parti cesarei), le tecnologie sono usate di routine, l'assistenza è divenuta molto frammentata. La nascita è diventata un evento medico, trascurando la natura complessa della gravidanza e del parto. È stato privilegiato l'aspetto tecnico-sanitario e questo non sempre ha consentito di rispettare i fondamentali diritti dei protagonisti della nascita: diritto al rispetto delle scelte personali, dei ritmi naturali del corpo della donna, della gravidanza e del parto; diritto alla vicinanza e alla conoscenza tra madre e figlio nell'immediato dopo-parto; diritto alla presenza di persone amiche; diritto alla scelta della donna circa i luoghi dove partorire.
      Questa situazione, protraendosi per decenni, ha determinato profonde trasformazioni nel vissuto, individuale e collettivo, dei momenti centrali della vita di ciascuno di noi. E la sommatoria di questi vissuti personali ha determinato cambiamenti culturali di vasta portata, incidendo sull'affettività e sull'aggressività, sulla capacità relazionale e sul senso di fiducia reciproco, sull'interpretazione stessa della nascita e della morte, sull'accettazione dei limiti insiti nella nostra natura umana, sul nostro stesso sentirci parte di questa natura.
      Negli ultimi decenni, però, le condizioni socio-economiche della popolazione sono profondamente mutate e, nella generale riflessione sulla «qualità della vita», è emersa una sensazione di malessere legata a questo senso di «espropriazione»; un movimento culturale e di opinione che richiede qualità anche nell'evento della nascita.
      In gran parte dei Paesi industrializzati occidentali giuste voci si levano a richiedere attenzione e cittadinanza anche per gli aspetti relazionali, affettivi e culturali del «mettere al mondo»; a chiedere una nascita senza violenza.
      L'idea che i servizi di maternità dovrebbero essere basati sulla donna, impegnandosi a soddisfare i suoi bisogni, è un'idea semplice ma difficile da mettere in pratica, richiedendo un cambiamento di cultura dell'assistenza e di strutture.
      I servizi di maternità devono dare sicurezza, ma anche guardare al benessere futuro della madre, del suo bambino, della sua famiglia.
      Alcuni ospedali già negli anni ottanta (per esempio Zevio (Verona); Poggibonsi (Siena); Gavardo (Brescia); Villaggio della madre e del fanciullo (Milano) hanno cercato di agire in modo da restituire maggiore attenzione e umanità alla nascita, modificando le loro pratiche routinarie di assistenza, restituendo centralità ai soggetti della nascita e limitando allo stretto necessario gli interventi sanitari, farmacologici e tecnici, considerato anche che costituiscono un ulteriore fattore di rischio per la salute della donna e del nascituro. Consultori, associazioni culturali, movimenti di opinione, gruppi di volontariato e associazioni di intervento nel sociale (il coordinamento nazionale «Il Melograno - Centri di informazione maternità e nascita», il Movimento internazionale parto attivo, la Scuola elementare di arte ostetrica di Firenze e tante altre iniziative a carattere locale) ormai da diversi anni lavorano e si impegnano su questo terreno, diffondendo un po' dovunque una nuova cultura della nascita che si è tradotta in alcuni reparti nascite in una diversa attenzione e in tentativi di umanizzazione della gestione dell'evento.

      Ma questo rinnovamento va generalizzato, offrendo a tutte le donne, a tutti i nuovi nati, a tutti gli operatori socio-sanitari pari opportunità nell'intervenire coscientemente in questo grande mistero che è la nascita.
      D'altra parte, anche la ricerca scientifica ha ormai dimostrato come il più delle volte il rispetto dei ritmi, dei legami naturali e dei bisogni personali, vada di pari passo con un migliore e più fisiologico espletamento del parto. L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), già nel 1985, approvava le raccomandazioni «Tecnologie
 

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appropriate per la nascita
» e, nel 1986, le «Tecnologie appropriate per il dopo-parto», fino alle più recenti raccomandazioni OMS 2006 «Standards for Maternal and Neonatal Care», che rimettono in discussione la maggior parte delle pratiche ostetriche e pediatriche oggi comunemente accettate in ostetricia, proponendo migliori livelli di assistenza con minor utilizzo di tecnologie, il recupero delle modalità di assistenza tradizionali appropriate di ogni popolazione, la riconversione delle risorse attualmente disponibili.
      In questo senso si era già avviato il decreto-legge 1o dicembre 1995, n. 509, convertito, con modificazioni, dalla legge 31 gennaio 1996, n. 34, che, nell'ambito delle disposizioni in materia di strutture e di spese del Servizio sanitario nazionale, aveva riservato una quota di 200 miliardi di lire per i consultori e per l'attivazione e il sostegno delle strutture che applicano le tecnologie appropriate previste dall'OMS alla preparazione e all'assistenza al parto, come primo riconoscimento e sostegno ai luoghi del parto che riservano attenzione sia agli aspetti scientifici, sia relazionali nella preparazione e nell'assistenza al parto, e ai primi giorni di vita del nuovo nato.
      Nel quadro degli obiettivi salute individuati dal Piano sanitario nazionale per il triennio 1998-2000, fu adottato dal Ministro della sanità il Progetto obiettivo materno-infantile in cui era sviluppato un piano di azioni dirette alla tutela della salute della donna, in tutte le fasi della vita e negli ambienti di vita (decreto del Ministro della sanità 24 aprile 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 131 del 7 giugno 2000).
      Il Progetto indicava, tra gli altri obiettivi da perseguire allo scopo di salvaguardare le fasce più deboli e di garantire maggiore uniformità dei livelli di assistenza, quello di «assicurare processi assistenziali tendenti alla sempre maggiore umanizzazione dell'evento nascita, coniugando la possibilità di far coesistere la sicurezza per la partoriente e il nascituro e il rispetto di quanto desiderato dalla donna in una fase delicata per il ciclo vitale».
      Più recentemente, l'attuale Piano sanitario nazionale 2006-2008 riepiloga: «Malgrado i progressi realizzati negli ultimi anni, non sono ancora stati raggiunti gli obiettivi indicati dal precedente Piano sanitario nazionale 2003-2005, che faceva proprie molte delle indicazioni del Progetto obiettivo materno-infantile del Piano sanitario nazionale 1998-2000, i cui standard relativi al numero minimo di parti anno per struttura, al bacino di utenza per unità operativa di pediatria risultano ancora validi e del quale andrebbe monitorata l'attuazione».
      È necessario ormai approvare una legge organica sulla materia, che, nel rispetto della sicurezza e delle acquisizioni scientifiche (tutte le evidenze scientifiche dimostrano che la sicurezza risiede prima di tutto nel rispetto della fisiologia), promuova una cultura ostetrica che tuteli l'innata capacità e competenza delle donne e dei bambini nel processo parto-nascita.
      È fondamentale promuovere alcuni cambiamenti nell'organizzazione del processo nascita, non costosi a livello economico ma molto importanti in termini di salute e soprattutto di benessere futuro: un'assistenza personalizzata alla donna (come già è stata avviata in Gran Bretagna con il programma «Changing Childbirth»), un'informazione puntuale e oggettiva sui meccanismi fisiologici che intervengono durante la gravidanza, il parto e l'allattamento, un'assistenza adeguata da parte del personale sanitario con l'offerta di metodiche non invasive (uso dell'acqua, massaggi, possibilità di muoversi durante il travaglio, di adottare le posizioni più consone), un ambiente idoneo (il più possibile tranquillo, intimo, familiare, non disturbante). Inoltre, è necessario prevedere nel dopo-parto quel supporto sociale che una volta era garantito dalla famiglia allargata e dal vicinato e che oggi non esiste più e che potrebbe prevenire difficoltà nell'allattamento, depressione post-parto e altre problematiche. Una nuova figura di assistente alla nascita, anello di congiunzione tra la donna e gli operatori sanitari, dovrebbe tornare ad essere presente nel nostro Paese (un tempo c'erano l'ostetrica
 

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condotta e la puericultrice), non solo a livello di sperimentazione in alcune regioni o zone (vedi, per esempio, il progetto di assistenza domiciliare nel primo anno di vita «Raggiungere gli irraggiungibili» gestito dal centro «Il Melograno» di Roma su iniziativa del comune).
      La presente proposta di legge nata dall'esperienza dei centri «Il Melograno», che dal 1981 portano avanti nelle diverse sedi in Italia progetti e servizi per una nuova cultura della nascita, e da quella di tanti altri gruppi di auto-aiuto e di tanti operatori sanitari, medici, ostetriche e ricercatori, che hanno messo in discussione e rivisto secondo il metodo Evidence Based Medicine (EBM) e basandosi sulle raccomandazioni dell'OMS, le pratiche ostetriche comunemente accettate e l'organizzazione conseguente, intende, perciò, promuovere la conoscenza e la diffusione di una nuova cultura della nascita e delle conseguenti pratiche ostetriche rispettose di ciascun nuovo nato e del suo divenire persona, e di ciascuna donna che ha scelto di divenire madre. Inoltre, si vogliono rendere concrete e universali scelte e modalità pratiche che oggi sono frutto solo dell'impegno personale e volontario di alcuni operatori del settore, promuovendo un'ostetricia che «opera con scienza ed intelletto d'amore» (Maria Montessori).
      La pratica del parto non violento è già una realtà in molti Paesi del mondo, così come il graduale superamento della ospedalizzazione generalizzata della donna. Ricordiamo l'esperienza americana, dove i parti che avvengono nelle case di maternità rappresentano ormai la maggioranza rispetto ai parti ospedalizzati, e quella olandese dove oltre il 60 per cento dei parti avviene a domicilio.
      Anche in alcune regioni italiane si sono fatte scelte concrete verso un graduale superamento della ospedalizzazione generalizzata della donna: nelle regioni Lombardia, Lazio, Piemonte, Toscana, Emilia-Romagna, Marche, Abruzzo e nelle province autonome di Trento e di Bolzano si è già legiferato in questo senso.
 

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